Riceviamo e pubblichiamo
PIACCIA O NO ANCHE IL POPOLO FRIULANO
HA DIRITTO ALLA SUA FESTA
di Luca Campanotto
Da abbonato friulano di lungo corso credo proprio che la lunga lettera di Gabriele Marini pubblicata il 10.03.2021 meriti una adeguata replica. Cercherò di essere altrettanto bonario. Scrivendo almeno altrettanto.
Anzitutto, che cosa stanno facendo i nostri grandi e potenti vicini? Cito la prima parte dell’art. 2 co. 2 della L. R. 1-2012 (Legge Regionale Statutaria) del Veneto: «La Regione salvaguarda e promuove l’identità storica del popolo e della civiltà veneta». Va ricordato anche l’art. 5 co. 1 della L. R. 8-2007 sempre del Veneto: «Al fine di favorire la conoscenza della storia del Veneto, di valorizzarne l’originale patrimonio linguistico, di illustrarne i valori di cultura, di costume, di civismo, nel loro radicamento e nella loro prospettiva, nonché di far conoscere adeguatamente lo Statuto e i simboli della Regione, è istituita la “Festa del Popolo Veneto”. Essa ricorre il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia.». In realtà San Marco c’entra molto più con Aquileia: tutte le reliquie marciane veneziane sono infatti postuma preda di guerra. E la storia di Aquileia non inizia coi Romani e con la Venetia et Histria, ma coi Celti, coi Galli, coi Carni, se non, ancora più anticamente, con la Civiltà dei Castellieri, anche in questo caso ben distinta dai cosiddetti paleo-veneti. Vi risulta che nel 1997 la Regione del Veneto abbia speso soldi pubblici regionali per ricordare il bicentenario del Trattato di Campoformido del 1797? Mi permetto di chiederlo perché in Friuli è stato fatto qualcosa di simile nel 2020 per il sesto centenario del 1420!
In Friuli si ricorda il 03 Aprile 1077 forse poiché Paolo Diacono nella Historia Langobardorum non precisa il giorno esatto in cui nel 568 il Primo Duca Gisulfo ottenne dal Re Alboino il Primo Ducato Longobardo del Friuli nella Capitale di Cividale assieme ai migliori guerrieri.
La radicale incompatibilità tra Venezia e il Friuli risale come minimo all’inizio del Secolo XI quando la Serenissima ostacolò la politica naturalmente imperiale e germanica del Patriarca di Aquileia Popone von Treffen a Grado. Lo scisma dei tre capitoli in realtà non è mai stato pienamente riassorbito. Poi nel 1751 Roma ha soppresso il Patriarcato autentico dopo aver addomesticato quello spurio.
Il Friuli conobbe proprio nel Medioevo la sua autentica età dell’oro. Non era certo perfetto nemmeno allora. Ma sicuramente molto avanzato per l’epoca. E in ogni caso è la mia terra. Heimat, anche se il sistema scolastico italiano non ama molto il tedesco, mentre insegna le lingue dei vincitori o francesi o inglesi.
Il Patriarcato di Aquileia godeva del primo Parlamento d’Europa, le cui riunioni iniziarono prima della Magna Charta inglese, con pieni poteri sovrani generali, con la piena partecipazione deliberativa non solamente dei Nobili e del Clero ma anche delle Autonomie Locali. Successivamente si aggiunse anche la Contadinanza. Solo con la prossima Legislatura i friulani comprenderanno la esiziale portata del taglio dei seggi parlamentari anche se in Italia sono stati quelli che in assoluto vi hanno contribuito percentualmente di meno.
Nel Friuli Patriarchino vi era comunque una distinzione tra potere spirituale e potere temporale. Quest’ultimo veniva delegato all’Avvocato del Patriarca. Sempre più spesso fu il Conte di Gorizia in endemico conflitto intestino col Patriarcato.
Il fatto che i Patriarchi di Aquileia portassero non solamente il pastorale ma anche la spada è circostanza singolare per il contesto geopolitico italiano, ma nient’affatto per quello germanico e mitteleuropeo: ricordiamo ad esempio il Principe Vescovo di Trento, che tra l’altro fino al Concordato col fascismo del 1929 era ecclesiasticamente un Suffraganeo prima di Aquileia e poi di Gorizia.
Anche il Trecento non fu periodo di sola decadenza per il Friuli; e non alludo solamente al Beato Bertrando; merita una citazione anche il Patriarca Principe Marquardo von Randeck, autore delle Costituzioni della Patria del Friuli, un buon corpus giuridico secolare proprio di grande importanza, che nemmeno la Serenissima osò successivamente toccare per ben tre secoli; venne abolito solamente da Napoleone Bonaparte; qualcosa di simile avvenne con gli attuali confini del Mandamento di Portogruaro.
Il Patriarcato di Aquileia non decadde poiché deteneva il potere temporale; decadde viceversa poiché nel Basso Medioevo passò dalla fazione ghibellina a quella guelfa e poi lo perse. Venezia, in realtà, riuscì infatti a conquistare, con le armi dei suoi ben pagati mercenari, solamente il Friuli centro-occidentale. Gli Asburgo ereditarono pacificamente il Friuli Orientale Goriziano per poi subire per due secoli i tentativi di conquista dei soliti veneziani lungo il Vecchio Confine di innaturale spartizione che dal 1500 sopravvisse fino al 1915-18-19.
Nel 1420, proprio perché molto coraggiosa anche se tragica, contro i veneziani fu molto onorevole la strenua resistenza patriarchina proprio nel Friuli Occidentale, ad esempio del Castello di Prata, raso al suolo dai mercenari veneziani, vicino Pordenone, che all’epoca era imperiale e quindi per il momento non venne toccata. Cividale si illuse che la Serenissima fosse migliore di quel Beato Bertrando che all’Antica Capitale Longobarda del Friuli tolse sì la Sede Patriarcale Aquileiese e la Capitale Politica Effettiva per concederle tuttavia quello Studium Generale antesignano dell’Università del Friuli. Risultato dei tanti campanilismi che allora come oggi dilaniano il Friuli fu il fatto che la Serenissima tolse a Cividale anche l’Università per non fare concorrenza a Padova. A Cividale ricordano la distruzione del ponte del diavolo ad opera degli italiani dopo Caporetto; non l’attuale ricostruzione fedele ad opera degli austro-tedeschi durante il successivo anno di amministrazione pardon occupazione. Boni suditi furlani.
Grazie a Dio il Friuli Orientale Goriziano rimase all’Impero per altri cinque secoli.
Del resto tutte le guerre, sul nostro territorio friulano, sono sempre iniziate da occidente verso oriente. Vi fu una sola eccezione, ovverosia le numerose e sanguinose incursioni turche nel XV Secolo, contro le quali la Serenissima fece poco o nulla salvo costruire Palmanova solo nel successivo XVI secolo col tributo di lavoro gratuito dei friulani perché tale fortezza nasceva in realtà anti-austriaca. Sempre grazie all’Impero il Beato Marco di Aviano risolse tale problema a Vienna, almeno per allora, nell’ancora successivo XVII secolo.
Quale bilancio dell’amministrazione serenissima sul Friuli centro-occidentale? Gli Organi della Patria del Friuli, Parlamento in primis, vennero svuotati da un organo monocratico nominato dall’alto, attraverso il Luogotenente di Venezia, per meglio sfruttare la nuova colonia. I boschi della Carnia sostengono Venezia e assieme al Cansiglio fornirono la legna per costruire le navi di Lepanto. Gli antichi beni comuni delle comunità friulane vennero confiscati dalla Serenissima e poi rivenduti per fare cassa ai paesi friulani che prima li usavano per sopravvivere. La rivolta del 1511 venne repressa sanguinosamente prima che un grande terremoto completasse l’opera. Intanto il Patriarca di Aquileia Francesco Barbaro che era oramai di origini veneziane come del resto tutta la classe dirigente, per volere della solita Venezia, soppresse il Rito Liturgico Patriarchino, nonostante il Concilio di Trento l’avesse lasciato in vita, in quanto molto antico. La stessa soppressione del Patriarcato nel 1751 si radica almeno apparentemente nella spartizione geopolitica del Friuli; venne sì richiesta un’Arcidiocesi per il Friuli Orientale Imperiale da Maria Teresa d’Austria; si dica che ciò avvenne in quanto Venezia monopolizzava da secoli le nomine sull’allora Sede Patriarcale Udinese.
Quale bilancio dell’attuale Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia? Oggi è politicamente scorretto usare un trattino che pure risulta previsto dallo stesso Statuto Speciale; rischia di ricordare che la Regione Autonoma è quantomeno duale a un eccentrico capoluogo alieno spesso ostile che consuma molto più di quello che produce; tanto pagano i friulani anche se non andranno mai nell’angolino in basso a destra a godersi i teatri triestini e forse nemmeno la sanità triestina. Non possiamo non fare un inciso sulla citata Università del Friuli, anzi di Udine, come l’hanno chiamata a Roma. La politica regionale si espresse formalmente in senso contrario, anche in questo caso per non fare concorrenza questa volta all’Università di Trieste, e solo una mobilitazione generale dal basso è riuscita anche grazie all’Arcidiocesi di Udine a imporne l’istituzione nel 1978 per iniziativa popolare di 125.000 friulani, perennemente sabotata come avvenuto del resto anche in questi decenni di continua crescita universitaria friulana nonostante tutto e tutti. Trieste pretese e ottenne una sostanziosa fetta di fondi pubblici persino in occasione della Ricostruzione dopo il Terremoto del Friuli del 1976, pur non avendo subito alcun danno in tale drammatico frangente, contrariamente rispetto a un territorio che non le appartiene e che l’attuale capoluogo regionale mai potrà rappresentare né tantomeno adeguatamente governare.
Il Timavo è il confine naturale del Friuli, geografico prima che storico, nei rapporti con Trieste, tanto quanto il Livenza è il confine naturale del Friuli, geografico prima che storico, nei rapporti con Venezia.
Solo su una cosa posso concordare. L’attuale subordinazione del Friuli ma non sud-occidentale a Trieste è tutto sommato meno peggiore e quindi più sopportabile del trascorso periodo di subordinazione del Friuli centro-occidentale a Venezia: se duecentocinquantamila triestini sono riusciti a non riconoscere al Friuli non dico la Presidenza della Regione ma nemmeno il trattino pur previsto dallo Statuto Speciale, immaginiamoci quali pregiudizi incomberebbero su un milione di friulani nel senso di residenti in Friuli se anche solo ipoteticamente questi ultimi venissero condannati alla più completa irrilevanza politica una volta annegati nel gran mare serenissimo che sarebbe costituito da più di quattro milioni di veneti. Un Friuli davvero libero, o almeno davvero autonomo rispetto ad alieni capoluoghi alloctoni imposti dall’alto nonché spesso ostili e quindi rispetto all’eterodirezione dei talianots come si dice in lingua friulana siano essi occidentali od orientali, sarebbe molto meglio, anche se forse i friulani stessi non se ne rendono nemmeno conto, ad esempio grazie a RAI Trieste e al Messaggero Veneto. Prossimamente vedremo se la Vita Cattolica si livellerà anch’essa.
Sulla lingua friulana mi limito a consigliare a tutti la lettura dell’art. 3 dello Statuto Speciale L. Cost. 1/63.
Ogni colonizzazione ha i suoi collaborazionisti; c’è tuttavia molto più merito ad avviare invece una reale decolonizzazione; serve tuttavia molto più coraggio. Buona Giornata del Friuli, ovviamente il 03 Aprile. E non chiamiamola festa: c’è davvero poco da festeggiare, soprattutto ultimamente, e temo anche in un prossimo futuro tri-bi-veneto. Mandi.
Luca Campanotto – Rivignano Teor
3 aprile 2021
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La Redazione del Blog ringrazia l’avv. Luca Campanotto per averle concesso la pubblicazione del documento che ben chiarisce le dinamiche che hanno percorso la lunga e importante Storia del Friuli e le ancora troppe “bugie” che vengono raccontate in chiave filo-veneta.